top of page
  • Matteo Gemolo

Berlino da Ruttmann a Schadt: il Canto della Metropoli

Immaginare un cinema diverso è forse possibile? Diverso da cosa? Un cinema che non tragga le proprie trame dal plot dei romanzi, che si sbarazzi di naturalismo, verismo ottocenteschi; che sia cinema d’arte senza ricalcare i drammi shakespeariani e che tragga non più dalla letteratura bensì da altre discipline le proprie principali contaminazioni. Che sacrificio dovrebbe sopportare il cinema se rinunciasse a ciò che la tradizione del novecento ha strutturato come nucleotidi del suo codice genetico? Il cinema dovrebbe rinunciare alla logica lineare-cronologica degli eventi che costituisce la narrazione dei fatti, ai relativi flashback che diventerebbero inconsistenti senza tale struttura; dovrebbe astenersi dai personaggi intesi come maschere simboliche costruite a modello di una dialettica scontata ma ancora così seducente, che fa corrispondere ad elementi fisici la suggestione verso elementi psicologici, alle tarature morali la riconduzione immediata alle classi sociali e che più si fa stringente, questa dialettica, più facilita il compito del pubblico nello scovare il protagonista della storia e, così facendo, lo rasserena nel direzionare la sua limitata attenzione verso le gesta di uno solo, esautorandolo dalla comprensione della complessità, invitandolo a seguire un cammino che è chiaro e visibile da lontano come una pista d’atterraggio che conduce dritto dritto verso sempre rinnovate mitologie d’intrattenimento; ricusare infine il narratore, autodiegetico o allodiegetico che sia, poiché privato dell’argomento da narrare e ammutolirlo poiché immemore del linguaggio atto a delinearlo. Insomma, destrutturato il cinema nelle sue più intime fondamenta lo possiamo immaginare nudo?

CONTINUA A LEGGERE SU:

https://gliocchialibianchi.blogspot.com/2018/07/berlino-da-ruttmann-schadt-il-canto.html

Featured Posts

Recent Posts

bottom of page