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  • Matteo Gemolo

Le temps qui reste

Le temps qui reste (2005), secondo film della cosiddetta “trilogia del lutto” è un film che descrive gli ultimi attimi della vita di Romain, fotografo di moda trentenne, perfettamente incasellato nel cliché del giovane omosessuale in carriera, diviso tra una vita domestica fatta di cocaina e “vero amore” e gli impegni pubblici per la prestigiosa Vogue Paris.

Tanto banali e melodrammatici i continui flashback che contrappongono alla sofferenza del presente l’idillio e la purezza del passato, quanto demoralizzante e sfibrante il finale che concede una serena morte al protagonista (alquanto improbabile) priva di sofferenza in una spiaggia deserta al tramontar del sole. Non si vuol certo imputare ad Ozon la mancanza di un realismo che non gli è mai appartenuto, considerato da molti invece ingrediente necessario se si vuol parlare di cancro nel XXI secolo, a maggior ragione se lo si vuol fare in un film. Tuttavia ci viene un briciolo di nostalgia e una razione consistente di rabbia se pensiamo ai suoi esordi dove su di un impianto realistico esasperato che diventava presto simbolico (pensiamo alla rappresentazione della famiglia medio borghese) egli sapeva inserire l’elemento del grottesco e del surreale che scardinava e faceva saltare per aria tutto: ricordiamo in Sitcom – La famiglia è simpatica (antico 1998), la scena finale in cui il capofamiglia viene divorato da un ratto gigante in versione puppet o l’ozoniana interpretazione in chiave omoerotica della fiaba di Hansel & Gretel in Les amants criminels (anno successivo). CONTINUA A LEGGERE SU: https://gliocchialibianchi.blogspot.com/2018/07/le-temps-qui-reste-le-temps-qui-reste.html

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